Viste le polemiche (non oso chiamarli “confronti”, visto che questo implicherebbe che entrambe le parti siano civili) che sono scatenate anche qui sull’argomento, volevo riportare alla luce la solita tiritera sul fatto che i giovani sono pigri e svogliati, che non trovano lavoro perché non lo cercano, che sono choosy e non si accontentano.

Ma accontentiamoci pure! È un problema fare il cameriere con una laurea in filosofia? Ma assolutamente no! I tempi sono duri per tutti, se momentaneamente non troviamo niente di più consono a quello che abbiamo studiato, perché no? Non è la situazione ideale, ma nessuno vi vieta di farlo o vi colpevolizza per questo. L’unica cosa è pensare sempre con la propria testa, rimanere con i piedi per terra e non farsi traviare da chi vi offre “grandiose opportunità”, perché la maggior parte delle volte nessuno ti regala niente.

Sapete cos’è la retorica?

Da wikipedia:

“è la disciplina che studia il metodo di composizione dei discorsi, ovvero come organizzare il linguaggio naturale (non simbolico) secondo un criterio per il quale a una proposizione segua una conclusione. […]

Lo scopo della retorica è la persuasione, intesa come approvazione della tesi dell’oratore da parte di uno specifico uditorio.”

Una volta la retorica era l’arte di utilizzare al meglio le parole per convincere le persone della propria opinione; era uno studio approfondito del potere che ha il discorso.

Oggi, il più delle volte, è usata al suo livello più basso per manipolare le opinioni. Se ripeto con forza una, due, tre volte una cosa, se uso termini che fanno colpo, aggressivi, generici in modo che sia difficile replicare, è possibile che il mio pubblico si convinca che quello che dico è vero. Soprattutto la ripetizione di concetti forti crea un discorso che può espandersi e arrivare fino a essere comune nell’opinione pubblica. La retorica così intesa mira a sfruttare le emozioni delle persone che si sentono chiamate in causa e a umiliarle, a farle sentire isolate, a fare leva sui loro sensi di colpa o sulle loro debolezze.

Come?

– Essere aggressivi, far sentire l’altro estraneo e isolato dal resto del mondo.

ESEMPIO: “Se vuoi stare a casa fallo, ma non giudicare le persone NORMALI che si svegliano la mattina e vanno a lavorare”

– Far leva sulle debolezze, umiliare, insultare.

ESEMPIO: l’affiancare alla parola “disoccupato” altre come fallito, sfigato etc. (cose che magari rafforzano l’opinione che chi non trova lavoro erroneamente ha di sé), o utilizzarla come un insulto. Magari all’inizio nemmeno ce ne si accorge, ma con il tempo tutta questa retorica entra nel subconscio e un bel giorno siamo tutti convinti che essere “disoccupato” sia una cosa di cui vergognarsi (e non invece un problema serio del paese e non di poche persone).

ESEMPIO 2: “mi fa pena”

– Generalizzare e… inventare!!!

“Sei ridotta male scusami per le mie parole iniziali , sei depressa ti scartano a tutti i colloqui , non hai un euro , vedi tutto nero per questo forse disprezzi chi lavora ”

(Tra l’altro: mai detto che disprezzo chi lavora, ma ci mancherebbe!)

– Manipolare le opinioni esponendo solo parte della realtà.

ESEMPIO: il servizio del TG2 che parla della vendita diretta vi dice che è un settore in crescita, che pubblica più annunci di offerte di lavoro di tutti gli altri. Settore in crescita o in espansione significa che stanno aprendo molte di queste agenzie. Vi viene detto che chi viene assunto fa parte di questa crescita? Viene indicato il numero degli assunti che se ne vanno dopo qualche tempo e la media delle persone che si licenziano dopo un periodo di prova? O qual è il ricambio del personale? Vi viene detto che queste agenzie possono permettersi di cercare e di avere tanti dipendenti perché per loro sono a costo zero (li pagano solo se questi li fanno guadagnare)? No.

ESEMPIO 2: gli annunci che riportano offerte di lavoro che non sono poi effettivamente quello che viene offerto.

Insomma.

Uno che vi dice che siete “sfigati” se non avete un lavoro fa semplicemente questo. Porta avanti un discorso che mira a persuadervi che qualsiasi lavoro sia meglio che non lavorare. Può essere un politico oppure una persona comune; in ogni caso, ha torto.

Ogni lavoro va bene, purché non vengano calpestati i diritti di chi lavora e non si venga presi in giro (“addetto marketing” è diverso da “venditore porta a porta”, oooops, “addetto alla vendita diretta”).

Ritorniamo al discorso dei cartelloni alla Barney Stinson e degli slogan motivazionali: frasi come “io sì che ho obiettivi” e “non ti va di alzarti la mattina”, ma anche solo il fatto che non si usi più dire “porta a porta”, ma “vendita diretta”, che è indubbiamente connotato meno negativamente e più… oscuro. Sono tutti slogan senza senso che vengono ripetuti a chi magari vive di sole speranze ed è, indubbiamente, alla disperata ricerca di un lavoro.

Esempio lampante: uno che mi dice “io non ho capi” ma poi ammette che ha persone che gli dicono cosa deve fare e come (a casa mia è la definizione di capo) è probabilmente una persona alla quale è stato DETTO che non ha capi e che ci ha creduto. Ancora una volta, retorica, quel tipo di cui alcune organizzazioni sono piene.

Non vi sto neanche a dire quanto sia sbagliato credere a tutte queste frasi da cartellone: ma vi pare che uno che non sa niente di me mi può dire che non ho obiettivi? Ma sulla base di cosa? Ho scritto anche un post con i miei obiettivi!!! E poi, che tipo di obiettivi? Dare da mangiare al gatto? Vedere Lady Gaga in concerto? Vendere un tot di contratti ogni giorno? Il mio obiettivo può anche essere più grande, cioè trovare un lavoro che mi soddisfi… Sono “sfigato” perché non accetto un lavoro in cui mi pagano solo se faccio guadagnare l’azienda, che quindi mi dà una minima percentuale di quello che guadagna sul mio lavoro?

Le persone sono risorse, senza di loro un’azienda non esiste: le aziende normali quindi investono in persone, come fanno in materiali e macchinari etc. Non ho niente contro chi vuole provare a lavorare in una di queste nuove realtà “alternative”: c’è crisi, non giudico nessuno. Semplicemente, basta essere sempre informati sui propri diritti e sapere che non è dappertutto così.

In ogni caso, comunque, non permettete MAI a nessuno di dirvi e di convincervi che se non avete un lavoro siete “sfigati” o che siete pigri o che siete falliti. Prima di tutto perché è una generalizzazione idiota, dato che non vi conoscono personalmente per poterlo dire.

E in secondo luogo, c’è una cosa da ricordare sempre.

Le persone che sanno di cosa parlano e che non hanno secondi fini non urlano, non insultano, non offendono. Espongono le loro teorie con tranquillità e logica, e di logico nel dare del fallito a chi non condivide le tue idee non c’è davvero niente.

Parliamo ancora di truffe? Dai, che è divertente (non lo è).

Ho appena finito di dire, nell’ultimo articolo, che le APL non sono una truffa. Be’, non tutte. Ci sono ovviamente quelle più conosciute anche a livello nazionale che sono “sicure” e di cui perciò non dovremmo preoccuparci. Ce ne sono altre, invece, che non sono poi così innocue.

Succede, ed è successo anche a me mooooooolto tempo fa, di mandare il proprio curriculum a delle agenzie per promoter, uno degli unici lavori che possono fare gli studenti, perché occupano solo il week end. E che poi una delle suddette agenzie ti chiami a fare promozioni presso un centro commerciale (8 ore in piedi a promuovere un prodotto): la paga è buona e il lavoro non troppo complicato, perciò si accetta.

Senonchè, dopo un po’, l’agenzia chiama dicendo che l’azienda del prodotto in promozione non era soddisfatta e l’ha sospesa. Perfetto, penserete, il lavoro è andato ma almeno ti pagheranno le ore in cui hai lavorato! E invece no. Perchè non c’era nessun contratto.

La prima regola quindi é: prima di fare qualsiasi cosa, firmare un contratto. Firmarlo SEMPRE prima di iniziare a lavorare, anche se vi dicono “facciamo prima una prova e poi il contratto”… no. La prova è già compresa nel contratto: per legge c’è un periodo di tempo (di prova, appunto) in cui l’azienda può licenziare il dipendente e il dipendente si può licenziare senza ripercussioni.

Sembra una cosa banale, lo so, ma, ripeto, è successo e credo succeda ancora.

Vi è mai capitato qualcosa di simile?

Curiosando un po’ tra le parole con cui giungete su questo blog digitandole nei motori di ricerca, alcune mi hanno lasciato un po’ stranita. In particolare, “adecco truffa” e “agenzie per il lavoro fregatura”.

Sono rimasta stranita perché siamo circondati da talmente tante truffe, da talmente tante persone che tentano di fregarci in qualche modo (basta pensare a tutte le offerte vantaggiosissime degli operatori telefonici, ad esempio… alcune sono vantaggiose solo per l’azienda che le promuove), che ci costringono a pensare che tutto sia una truffa.

Ma, no, vorrei chiarire: le agenzie per il lavoro non sono una truffa. Come ho scritto in un precedente post, sono legalissime (infatti per mettersi sul mercato devono essere sanzionate dal ministero) e non solo: sono uno dei due modi che abbiamo per trovare lavoro al giorno d’oggi. L’altro, quello istituzionale, statale, sono i centri per l’impiego, di cui forse avrete già sentito parlare (probabilmente in maniera negativa).

C’é ancora chi stampa i propri curriculum e li invia per posta o li porta a mano alle aziende nei pressi di dove abita, sperando che abbiano bisogno di una figura professionale con le sue caratteristiche. Oppure c’è chi, più tecnologicamente, manda email alle suddette aziende (anche se alcune l’email non ce l’hanno nemmeno, oppure non è reperibile su Internet).

Non è sbagliato. Se vogliamo, però, mi sembra uno spreco di tempo. Perché, insomma, se un’azienda sta ricercando una persona per un determinato ruolo da ricoprire, immagino che non se ne starà con le mani in mano ad aspettare che gli cada dal cielo.

Certo, può essere che quell’azienda stia ricercando qualcuno per canali che io non frequento e che per un caso assurdo io proprio in quel momento mandi all’azienda il mio curriculum, senza nemmeno sapere che stanno cercando qualcuno. Ora, tra le altre cose questo qualcuno dovrebbe avere le caratteristiche e le esperienze che io ho, il che non è per niente scontato; anzi, è molto improbabile.

La cosa si fa ancora più improbabile se sono un neolaureato o un neodiplomato e, a meno di non avere una specializzazione specifica, fondamentalmente non so ancora cosa farne della mia vita lavorativa. Perchè a quel punto nella mia lettera di presentazione dovrò essere generico sul mio eventuale ruolo in azienda, cosa che, insomma, non è propriamente ideale. Chi riceverà il curriculum sarà portato a pensare “Questa persona vuole lavorare per noi ma non sa in che ruolo?!?”.

In conclusione, mi chiedo: tentare la fortuna va bene, ma non si perde un po’ troppo tempo e denaro? Non è meglio utilizzare gli strumenti che ci vengono forniti per far incontrare domanda e offerta di lavoro?

E quali sono questi strumenti? Le APL, o agenzie per il lavoro, come Adecco, Manpower, Gi Group etc.

Parliamone. Le APL sono agenzie che promuovono il lavoro interinale, cioè, non solo fanno da tramite per la ricerca del lavoro, ma anche per il rapporto di lavoro. Così, quando troverete un lavoro con una di queste agenzie, non firmerete un contratto con l’azienda che vi dà il lavoro, bensì con l’agenzia. La busta paga vi arriverà dall’agenzia, non dall’azienda.

Cosa cambia per voi? Niente, se non che rispondete direttamente all’agenzia e non all’azienda per la maggior parte delle cose. Questo è quello che si chiama lavoro interinale o somministrato.

Ma è vero che l’agenzia si prende una parte di quello che guadagno? No. NO. Voi percepite quello che l’azienda vi pagherebbe se vi avesse assunto direttamente. Sulla vostra paga viene riportato il vostro livello, la vostra remunerazione oraria/giornaliera, il tipo di contratto collettivo a cui far riferimento.
Poi, l’azienda paga all’agenzia una quota per i suoi servizi, ma questo non vi deve interessare: all’azienda fa ovviamente comodo che l’agenzia svolga la ricerca al posto suo e che si assuma determinate responsabilità, e questo è il motivo per cui paga un surplus rispetto a quello che pagherebbe senza agenzia, assumendovi direttamente (sempre se vi trova). Compra, insomma, dei servizi dall’APL.

I contratti con l’agenzia sono sempre a tempo determinato? Sì. L’agenzia vi assume per quella che si chiama “missione” per un tempo determinato. Vi ho parlato del fatto che la mia prima assunzione è stata di quattro giorni.
Poi la missione può essere presa come periodo di prova dall’azienda, che conclusa questa, può decidere di assumervi.

Perciò, il mio consiglio è: iscrivetevi alle agenzie per il lavoro. Fatelo online e se potete portate anche qualche curriculum a mano nelle filiali vicine a casa, tanto per farvi conoscere (e magari ricordare!). Di solito l’agenzia fa un primo colloquio conoscitivo per capire le vostre caratteristiche e “schedarvi”, di modo da potervi trovare subito nel caso di offerte che potrebbero interessarvi.

Un’ultima cosa: le APL non sono esclusive, cioè se siete iscritti ad Adecco potete tranquillamente iscrivervi anche a Manpower, non c’è alcun problema! Aumentano solo per voi le possibilità di essere chiamati. 🙂

Sono qui oggi per raccontarvi delle mie ultime esperienze di colloquio. Al momento, le mie ricerche di lavoro online si sono praticamente fermate, considerando che è da gennaio che nessuno mi chiama per candidature fatte su InfoJobs e simili. Semplicemente credo che, sui siti di ricerca del lavoro, ci siano dei momenti in cui la calma piatta la fa da padrone, e altri invece (gennaio/febbraio, settembre) in cui c’è effettivamente una possibilità di essere chiamati.

Dunque come ho ottenuto i miei colloqui? Con quello strano fenomeno chiamato SEGNALAZIONE (ne abbiamo già parlato QUI). Ho già spiegato in che modo la segnalazione è diversa dalla raccomandazione, ma è sempre bene ricordarlo.

Si definisce segnalazione quello che succede quando un’azienda è alla ricerca di una figura che svolga un determinato lavoro e uno dei suoi dipendenti conosce una persona che potrebbe essere disponibile, interessata e adatta. Il suddetto dipendente segnala quindi la cosa al responsabile della ricerca del personale, il quale può decidere di contattare o no la persona consigliata e fargli un colloquio, per verificare la sua effettiva attinenza alla posizione da lui ricercata, insieme agli altri candidati per il posto.

La differenza con la raccomandazione sta tutta qui: al raccomandato quasi mai si fa un colloquio e se lo si fa è spesso una farsa, una messinscena per far finta che sia tutto regolare. Il raccomandato può anche non essere adatto al ruolo, semplicemente è il figlio/cugino/amico di qualcuno (magari di importante nell’azienda) e viene quindi fatto passare davanti agli altri candidati (quando ce ne sono).

Chi viene invece segnalato, dopo la segnalazione, è quasi sullo stesso piano degli altri candidati, presentatisi magari tramite agenzia. Perché quasi? È normale che far entrare in azienda una persona conosciuta da un dipendente scarica un po’ della responsabilità su quest’ultimo, o meglio, è indice che quella persona è probabilmente responsabile e capace. Nessuno si sognerebbe mai di raccomandare il cugino Mose che corre spesso nudo per i campi con un fucile in mano.

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Il simpatico cugino Mose

Ben due persone diverse, mie conoscenti, mi hanno fatto sapere che: un’azienda vicino a casa mia cercava un’impaginatrice (non proprio, ma mettiamola così) giovane e volenterosa; un comune vicino a casa mia sta partecipando a un progetto credo provinciale per cui le aziende nei dintorni organizzano stage di 6 mesi in vari ambiti lavorativi. Sì, in effetti la seconda non è esattamente una segnalazione, quanto un avvertimento fatto a me che qualcosa stava succedendo (ma, come al solito, certe cose se non le vieni a sapere da qualcuno che se ne occupa non le saprai mai).

Sono andata a questi due colloqui, quindi, e mi sono sentita porre le seguenti domande:

– Quali sono i clienti con cui vorrebbe lavorare?

Allora. Premetto che a me le domande aperte lasciano sempre un po’ spiazzata. Ma, diamine, una domanda più generica non c’era? Io odio odio odio chi gira intorno alle cose e non arriva al punto, ma, ammetto, per rispondere a questa domanda, l’ho fatto. Per non essere costretta a dire che vorrei lavorare con clienti gentili, simpatici e magari pure bellocci che ogni tanto mi portino il caffè con brioche in ufficio.

Dopo, solo dopo che mi sono ingarbugliata mille volte cercando di dare una risposta sensata e che mi facesse apparire decisa e intelligente, il tizio mi ha spiegato cosa intendeva (clienti interni all’azienda, cioè i colleghi, o esterni, cioè i clienti veri e propri). Forse il selezionatore ha usato la tecnica del “vediamo se ti innervosisci”, ma non lo saprò mai.

– Qual è il suo sogno della vita? (con conseguente ramanzina su quanto sia importante avere un sogno o più sogni nella vita, se no come si va avanti?)

Ecco cosa avrei voluto rispondere:

Ah! Seriously? Il mio sogno della vita è essere straricca di default e potermi permettere di fare quello che voglio, nella vita. È essere J.K. Rowling, ma anche Suzanne Collins va bene. Stephenie Meyer no, o meglio, solo quella post-Twilight, di The Host (ecco, se poi ci buttiamo dentro anche Max Irons come fidanzato, meglio ancora). È essere una rockstar (ma pure pop va bene), cantare di fronte a milioni di persone negli stadi. È essere Emma Watson, o Mila Kunis, se non fossi una pippa sia a cantare che a recitare.

Come? Se ho anche qualche sogno effettivamente realizzabile? Diciamo che più che altro cerco di averlo.

Il mio sogno realizzabile è di avere soddisfazioni, santo cielo. Di svegliarmi la mattina a un’ora indecente e non essere del tutto depressa alla prospettiva di passare 8 ore in un ufficio. Di avere qualcosa da realizzare, qualcosa in cui credere e, alla fine, qualcosa di tangibile che mi faccia dire “Oh, questo l’ho fatto io”. Di sorridere, qualche volta, pensando che, forse, in fondo, sono brava in qualcosa, che forse il mio posticino nel mondo ce l’ho.

Solo questo, chiedo troppo?

Per aggiungere un po’ di cose deprimenti a questa giornata primaverile grigissima e piovosa, volevo raccontarvi di una chiamata che ho ricevuto oggi. Lo so, li attiro tutti io.

Un uomo mi contatta, sa il mio nome, dice di aver ricevuto il mio CV. Da chi, non si sa. Mi propone di fare un colloquio conoscitivo per Alleanza Assicurazioni un dato giorno. Prima di accettare, però, gli chiedo per quale posizione, visto che so di non aver risposto a nessuna inserzione per lavorare in un’assicurazione, non avendo io nessuna conoscenza nel campo. Soprattutto, non sarei capace di vendere il fuoco agli eschimesi, perciò so già che qualsiasi lavoro che implichi vendere qualcosa non è fatto per me.

E qui viene il bello. Il tipo balbetta, borbotta qualcosa e alla fine mi dice che non lo sa, perché lui chiama solo per un colloquio conoscitivo, quindi poi insomma si vedrà.

Gli rispondo se è per una posizione commerciale di vendita. Lui risponde che, be’, ovvio, si tratta di una società assicurativa, probabilmente è qualcosa del genere.

A questo punto lo ringrazio, gli dico che non sono interessata e riattacco. Ora ho cercato opinioni su Alleanza e ho trovato le solite cose: è una truffa, pagano a provvigione e se non vendi non pagano proprio, etc.

Come può una persona che chiama per fissare un colloquio non sapere per quale posizione verrai chiamato? E su cosa verterà il colloquio? Ok, si tratta di un colloquio conoscitivo, ma cosa ti chiederanno? E poi loro sapranno quali posizioni hanno aperte o no? Si fosse poi trattato di un/una segretario/a avrei potuto forse quasi capire; ma in questo caso quello che mi ha chiamato era un uomo non molto giovane, perciò dubito che fosse il segretario, al massimo il responsabile dell’ufficio risorse umane (ma dubito anche questo).

Valeva la pena di andare al colloquio? Non credo. Semplicemente non mi va più di sprecare benzina e tempo per cose del genere. GIYF, Google è tuo amico: oggi basta una ricerca veloce per capirci qualcosa. Stando un po’ attenti alle opinioni false (e ce ne sono, ma sono spesso meno di quelle vere), ci si può fare un’idea precisa di ciò che abbiamo davanti.

Come al solito, pensieri, opinioni e altro sono sempre bene accetti 🙂

Abbiamo detto dunque che non è facile trovare lavoro, ma nemmeno cercarlo è proprio una passeggiata. Senonchè ci sono soggetti che complicano ancora di più la faccenda per quelli che i colloqui li fanno praticamente di lavoro, quelli che chiamerò colloquisti.

Mi è successo, E QUI FACCIO I NOMI, fresca fresca di laurea, di iscrivermi su InfoJobs a un annuncio che ricercava un “Addetto comunicazione e marketing” che avesse proattività e tutte quelle cose lì e soprattutto voglia di crescere in un ambiente dinamico, in una società nuova e giovane di comunicazione. Richiedevano laurea in marketing o comunicazione. L’annuncio era firmato Avantgarde, azienda di Milano. Mi chiamano quasi subito, la receptionist mi fissa un appuntamento. Controllo il loro sito per vedere di cosa si occupano e mi puzza un po’ il fatto che non si capisca e che questo sia condito da quelle frasi motivazionali che sembrano inventate da Barney Stinson.

La cosa continua a puzzarmi quando, arrivata al primo colloquio, nella sala d’aspetto ci sono un sacco di ragazzi, tutti più o meno della mia età. Voglio però capirci qualcosa in più, quindi sostengo il primo colloquio. Si tratta di un colloquio brevissimo, oltretutto in due (due candidati, intendo), con un ragazzo americano (l’azienda è americana) molto carino e disponibile che tuttavia sembra non capire una parola di quello che gli dico ma annuisce sorridente e alla fine di ogni nostra frase esclama “Fantastico!” o “Magnifico!” o ogni tanto pure “Wonderful!”. Rimango un po’ basita, sapendo che di wonderful nella mia carriera universitaria non c’è proprio niente. O meglio, ci sarebbe, ma di sicuro non ho avuto tempo di approfondire la cosa in 2 minuti e mezzo. Il tipo, sapendo io l’inglese, mi chiede pure come si traduce una parola da dire all’altro candidato. Bah. In totale il colloquio dura neanche 5 minuti, durante i quali la sola domanda è stata “Parlami di te”.

Tutto questo succedeva circa un anno fa, quando ero ancora ingenua e speranzosa: i segnali li avevo colti tutti, ma non pensavo ancora che esistessero truffe così totali.

Un altro tizio (italiano) mi chiama la sera stessa per dire che il colloquio è andato bene (ma cosa è andato bene? com’ero vestita? perché giusto quello può avere capito il tizio) e mi fissa un altro colloquio che, dice, potrebbe durare tutta la giornata, in cui ci verrà illustrato il lavoro. Di nuovo, ingenua e speranzosa, e felice di essere stata richiamata, accetto, oltretutto curiosa ed entusiasta al pensiero di, boh, visitare l’azienda? Fare prove/colloqui di gruppo? In certi casi chiedere delucidazioni è sempre lecito e anche giusto. Ma io che ne sapevo.

Vado al secondo colloquio, circa una settimana dopo il primo, cosa che raramente accade, a meno che la ricerca non sia urgente, ad esempio per una sostituzione per motivi improvvisi. Anche stavolta, la sala d’attesa è piena di giovani, solo che questa volta intavolo la conversazione con due di questi, un ragazzo e una ragazza. Chiacchierando, viene fuori che lui faceva l’autista e lei la receptionist in un albergo. Nessuno dei due è laureato ma soprattutto nessuno di loro ha qualcosa a che fare con il marketing. Ok, mi dico: c’erano parecchi annunci di questa azienda e in più dovrebbero aprire una nuova filiale, magari stanno cercando persone che ricoprano posizioni diverse. Ci guardiamo intorno e l’opinione dei miei due compagni è la stessa: sembra una fregatura. Ma ormai siamo lì, concordiamo, perciò tanto vale vedere come va a finire. Nella stanza di fianco a quella dove siamo noi, intanto, compaiono persone che si abbracciano, si salutano, parlano tra di loro e alla fine fanno una cosa che mi sembra tanto quei motti che si recitano prima di una partita sportiva, in cui i giocatori mettono le mani al centro una sopra l’altro e poi urlano ad esempio il nome della squadra… Mi sembra per un attimo di vedere una scena del film Tutta la vita davanti, in cui il telelavoro è quasi paragonato a una religione, a un luogo dove la meritocrazia è portata al limite.

Mi chiamano allora per il colloquio in un’altra stanza. Un ragazzo, sempre piuttosto giovane, mi dice che mi è stato assegnato uno dei responsabili (di cosa?), che per spiegare a me come funziona l’azienda addirittura salterà la pausa pranzo! Il suddetto responsabile avrà circa 23 anni ed è spagnolo. Non solo, anche lui non capisce molto l’italiano. Usciamo dalla struttura e nel frattempo il tizio inizia a parlarmi del lavoro. Anzi, non mi parla per niente del lavoro, ma mi spiega che l’azienda si occupa del marketing faccia a faccia e che è molto meritocratica, nel senso che se fai un buon lavoro puoi diventare manager in pochissimo tempo. Intanto iniziamo a camminare (sottolineo, camminare) verso la stazione dei treni più vicina. Il tipo continua a spiegarmi che in quell’azienda tutti quanti fanno carriera e che praticamente basta essere bravi per diventare manager: ci può volere di più o di meno, ma alla fine accade inevitabilmente. Ci sono tre step nel percorso: quello commerciale, quello economico e alla fine il marketing. Se sei bravo nel tuo lavoro come commerciale, passerai alla parte economica e alla fine, se supererai anche questa fase, arriverai finalmente a lavorare come manager nell’ufficio marketing dell’azienda. Basita gli chiedo se quindi tutti quelli che lavorano oggi al commerciale (come lui) un giorno diventeranno manager e lui risponde di sì. Smetto di dargli ascolto e comincio a immaginarmi come possa essere questo paradiso chiamato “marketing” dove si ritrovano tutti quelli che superano le prime due fasi, l’inferno e il purgatorio. Lo immagino affollatissimo (perché insomma, tutti ci arrivano prima o poi), pieno di persone che… non sanno bene cosa fare. Perché non è che ci siano campagne marketing da organizzare, visto che l’azienda si occupa di vendite porta a porta.

I “commerciali” sono proprio quelli che vanno porta a porta a cercare di vendere contratti, nel caso del mio responsabile (che, non dimentichiamo, ho saltato la sua pausa pranzo per me, mah) di Enel Energia.

Quando arriviamo alla stazione i tizi (il responsabile è affiancato da almeno altre tre persone) si mettono ad aspettare il treno. Io ormai ho capito di cosa si tratta e un po’ irritata chiedo loro: “Ma avete un abbonamento del treno?”, sottointendendo “pagato dall’azienda” al che loro si mettono a ridere e mi spiegano che, semplicemente, se dovesse esserci il controllore sul treno si può dire che in quella stazione non c’è un bar o un’edicola che venda i biglietti. Sempre più basita, mi metto un attimo in disparte a parlare con il tipo con cui avevo parlato prima in sala, l’autista. Lui mi dice che il suo responsabile è stato un po’ più dettagliato del mio e che dovremmo decisamente andarcene. Comunichiamo quindi la cosa ai ragazzotti e ce ne andiamo.

Durante il viaggio di ritorno, mi spiega cosa gli ha detto il ragazzo che era con lui. Il lavoro è proprio quello di porta a porta, ma non solo. Come avevo intuito, i ragazzi si pagano i mezzi da soli e non c’è rimborso spese. Semplicemente vengono pagati a provvigione, in percentuale rispetto ai contratti che riescono a far firmare: se non ottengono nessun contratto, come spesso succede non vengono proprio pagati (non c’è, cioè, un fisso). Quindi non solo c’è la possibilità di non essere pagati, ma si spendono pure i soldi per i mezzi e, da quello che avevo capito, non si tratta nemmeno di viaggi cortissimi, ma in tutta la regione.

State quindi attenti a tutti i segnali di cui vi ho parlato: inserzioni vaghe, siti ancora più vaghi e conditi di cose campate in aria, tante persone ai colloqui (soprattutto giovani) con background diversi, colloqui brevi e senza senso e a poca distanza uno dall’altro.

Sul blog “Contro la truffa” ho trovato poi un’altra opinione su Avantgarde e un breve elenco di altre aziende simili:

“Ever Green, White S.r.l., E.R. Group, Team Juice S.r.l., Studio 80, Movida,ecc. Ne esistono almeno due (in media) in ogni regione e fanno parte tutti del gruppo R.A.D.”

Spero che questo post possa essere stato utile per qualcuno e se avete avuto esperienze simili e volete comunicarmele mi fa solo piacere! Nel frattempo, buona ricerca! 🙂

Oggi mi sono ricordata (grazie a un promemoria del cellulare) di essere stata contattata circa un mese fa per sostenere un colloquio l’8 gennaio e quindi ho iniziato un po’ a informarmi su Internet sulla natura dell’azienda per cui avrei dovuto sostenerlo. Come avrete già capito, dopo circa 5 minuti di ricerca ho annullato l’appuntamento.

L’azienda è la StepItalia e in realtà pensandoci dopo mi sono ricordata di averne già sentito parlare dai ragazzi che hanno fatto uno dei corsi gratuiti con me per addetti alle risorse umane. Confrontando quelle esperienze con quelle reperite online mi sono fatta un po’ un’idea. Innanzitutto, il primo colloquio dura dai 5 ai 15 minuti, il che è già indice di scarsa serietà (un PRIMO colloquio “serio” dovrebbe durare all’incirca 45 minuti).

L’offerta, poi, è questa: una posizione di stagista in un ambito della gestione delle risorse umane per 3 mesi. ORa arriviamo all’intoppo: lo stage è non retribuito e l’orario di lavoro è dalle 9 alle 19, senza pausa pranzo.

Non posso dirlo con certezza, ma credo proprio che questa sia una di quelle agenzie che cambiano operatori ogni giorno, proprio perché dopo i 3 mesi di sfruttamento non retribuito le persone vengono lasciate a casa senza troppe cerimonie.

Non c’è niente di male a fare stage non retribuiti, ma a due condizioni: che dall’altra parte ci sia serietà e che si impari davvero qualcosa che possa esserci utile in futuro.

Oltretutto, state molto attenti, perché tra qualche tempo gli stage dovranno tutti essere pagati, con un minimo che verrà deciso dalle varie regioni (la Lombardia ovviamente non si è ancora mossa in questo senso, grazie mille Formigoni).

Io personalmente in questo caso credo che lascerò perdere, perché non solo dopo essermi sbattuta per 5 anni per trovare un lavoro decente mi vengono a dire che devo lavorare gratis, ma mi prendono pure in giro in questo modo che proprio non mi merito (e non si merita nessuno). Ognuno poi è libero di farsi un’opinione propria (grazie al cielo esiste Internet) e di decidere per sé. Proprio ieri ho commentato su un altro blog per dire che, è vero, lo sfruttamento esiste anche perché la gente lo accetta e vi si sottopone, ma c’è chi, non per colpa sua, non può letteralmente permettersi di rifiutare anche le offerte di lavoro più degradanti. Qui però non si parla più solo di sfruttamento, si parla di prendere in giro la gente e in più sfruttarla se ci casca, ed è ancora peggio.

Che ci siano organizzazioni legalizzate e alla luce del giorno (e non parlo solo di questa) che si permettono di fare questo mi fa rabbrividire e mi fa perdere la già poca fiducia che avevo nella società.

Cercare lavoro è un po’ come stare sulle montagne russe. Mandi curriculum qua e là e rimani in attesa che qualcuno ti chiami e attesa è decisamente la parola che userei, perché in quel momento non sono altro se non TESA, soprattutto se c’ è in ballo qualcosa che mi interessa davvero (dopo che la Feltrinelli ha snobbato la mia candidatura per uno stage non sono più entrata nelle loro librerie). Poi qualcuno ti chiama e allora sei al settimo cielo (be’ oddio, facciamo al quinto, forse quarto), ma poi scopri che è solo l’agenzia che ti chiede di fare il pre-colloquio (e torni al terzo cielo). Torni quindi a essere tesa (ma un po’ meno, perché comunque sei al terzo cielo) fino al momento del colloquio in agenzia e ritorni a essere un po’ più tesa dopo, perché non sai se ti chiameranno. Fortuna delle fortune, ti chiamano (voli verso il quarto cielo) e ti fissano il colloquio in azienda. Tensione alle stelle (c’è una costellazione proprio tra il quarto e il quinto cielo) fino a quando non arriva il momento del colloquio. Dopo, la tensione è al suo culmine e rimane così per circa due settimane, dopodiché sei quasi sicuro di non avercela fatta (perché nessuno ti fa sapere mai se non ce l’hai fatta). E da lì è una discesa a picco verso la terra, cioè il posto da cui eri partito. Se invece, oh gaudio, dovessero richiamarti e dirti che, per Giove, sei stato scelto, si vola dritti al settimo cielo… nel quale si rimane circa, non per essere pessimista, fino al secondo giorno di lavoro.

Magari qualcuno che ha letto qualche articolo di questo blog ha fatto caso pure alle date e ha visto che finora è stato scritto tutto praticamente oggi. Il punto è che pensavo da tempo di fare qualcosa del genere, perciò quello che ho scritto è come se lo avessi già avuto scritto da qualche parte nella mia testa. Oltretutto penserete “Okay che non hai un lavoro, ma ce l’avrai una vita!” e, sì, avete ragione sulla vita (ce l’ho) ma non avete ragione sul lavoro. Paradossalmente non ho mai iniziato a scrivere su questo blog se non oggi, che un lavoro in effetti ce l’ho.

Aspettate, aspettate un attimo a insultarmi o a invidiarmi: tra due giorni sarò ancora senza lo straccio di un lavoro come prima. Esatto, il mio contratto è a tempo determinato, ma non solo: dura qualcosa come 4 giorni. Esatto, è il mio primo contratto “serio” (ho lavorato con un contratto a progetto mentre studiavo) e dura 4 stupidissimi giorni, anzi 3 giorni e 2 ore. Non mi lamento, sto solo constatando l’ironia della cosa. C’è da considerare anche il fatto che ho lavorato per 2 ore a dicembre e per le restanti a gennaio, perciò la prima busta paga della mia vita sarà di circa 16 euro o qualcosa del genere. Ancora, sto solo considerando l’ironia. Si tratta comunque di una sostituzione e non avrei potuto chiedere di meglio per il momento, ma tant’è.

Quindi nessuno ti dice cosa fare una volta terminati gli studi. O vivi a contatto con la realtà delle agenzie per il lavoro (ad esempio hai un parente che ci lavora), oppure sei completamente all’oscuro di quello che dovresti fare per trovare un lavoro. La gente ti dice “Manda i curriculum ovunque!” e tu di questo ovunque hai già sentito parlare, ma non sai esattamente dove si trovi o come. Quindi mandi il tuo curriculum al tuo lattaio di fiducia e al tuo parrucchiere, sperando che abbiano bisogno di una laureata in marketing che sa l’inglese. Nessuno dei due ti risponde. Dunque?

Tutto quello che oggi so sul mondo del lavoro attuale l’ho imparato a un corso di quelli gratuiti organizzati proprio da agenzie per il lavoro per addetti alla gestione delle risorse umane. Non immaginavo assolutamente che sarebbe stato così utile per me, nè che sarebbe stato frequentato da tanti ragazzi giovani, colti e simpatici, pieni di curiosità e di voglia di fare. Una fotografia della gioventù italiana del tutto diversa da quella che dipingono i vari politici o i giornali. Ma questa è un’altra storia. Il punto è che ho imparato cose che chiunque dovrebbe sapere e che NESSUNO INSEGNA, e mi è semplicemente capitato per caso, altrimenti navigherei ancora nell’ignoranza più totale.

Ci sono capitata perché su Internet trovavo parecchie offerte di lavoro per addetti alla gestione delle risorse umane e ho pensato che avere sul curriculum un corso professionale, seppur gratuito, proprio riferito a quella mansione avrebbe potuto essermi utile per trovare un lavoro anche all’esterno del mio ambito di studi universitari. Per ora non è stato così, ma è stato molto interessante e consiglio a tutti di approfittare di questi corsi, perché non solo in una o due settimane danno più conoscenze pratiche di quanto non facciano alcune facoltà universitarie in cinque anni, ma in alcuni casi soprattutto (come nel mio) fanno una sorta di servizio pubblico per il cittadino.

Non si tratta di fregature, perlomeno nella maggiorparte dei casi: se siete incerti, documentatevi su Internet. Vi chiederete allora perché le agenzie li organizzino se non ci guadagnano niente… Non è proprio così. Per legge una percentuale minima di quello che le agenzie per il lavoro guadagnano deve andare in un fondo che viene utilizzato per offrire servizi ai cittadini. Invece di perdere completamente questi soldi, l’agenzia solitamente preferisce organizzare dei corsi di formazione rivolti ai cittadini, che grazie a questi potranno poi diventare loro lavoratori somministrati e generare quindi un guadagno. Tutto perfettamente legale, quindi e anche estremamente educativo. Nonostante questo, questi corsi vengono ancora visti da molti se non con sospetto almeno con un po’ di puzza sotto il naso e di pregiudizi infondati.

Io poi parlo ovviamente per mia esperienza personale. In ogni caso, se non avete un lavoro e non avete niente da fare, piuttosto che stare a casa a non far niente, vale sempre la pena di tentare, se non altro per acquisire competenze in diversi ambiti e allargare così le possibilità di trovare un lavoro.

In seguito ho frequentato un altro corso, questa volta di amministrazione delle risorse umane e anche in questo caso ho fatto la scelta giusta: abbiamo parlato in modo approfondito delle tipologie di contratto, della lettera di assunzione, delle varie leggi in proposito, dei contratti collettivi nazionali e infine anche di come si fa una busta paga.

Si tratta anche qui di informazioni vitali, che tutti dovrebbero avere e che eppure nessuno dà se non a sprazzi qua e là o tra le righe ma che quasi tutti gli addetti ai lavori (ad esempio gli impiegati delle agenzie per il lavoro) danno per scontato che si sappiano quando ad esempio ti chiedono se hai già compilato il modulo di destinazione dei TFR e cosa ne vuoi fare.

Essere informati è sempre il primo passo verso il successo.